“Sono nato nel comune di Renzino (Matteo Renzi, ndr), a Rosano che è comune di Rignano sull’Arno”.
Non è mai bene generalizzare, ma la prima cosa che pensi di Omero Galardi, nato a Rosano e che è il tipico fiorentino: irriverente, con l’espressione di chi è sempre pronto a ridere e far ridere, in più è massone e assomiglia a Piero Pelù (non che queste due cose abbiano alcun legame).
Omero ha una delle ultime fonderie di ghisa in Toscana che si trova in una traversa di via Pistoiese a Firenze, esattamente sotto il Ponte all’Indiano. Lavora da quando era ragazzino nella fonderia che era di suo padre, ma ha paura che piano piano sarà costretto a chiudere e che dopo di lui questa tradizione sparirà.
“Il mio nonno faceva il contadino – racconta Omero – il mio babbo faceva il contadino, la mia mamma faceva la contadina. Nel dopoguerra il mio babbo ha cominciato a venire a Firenze, a lavorare in una fonderia alle Cure. In fondo ad una strada chiusa, Via Guglielmo Pepe, c’era la fonderia del Ciuffi, ma il Ciuffi era anziano e dopo 3 anni il mio babbo l’ha rilevata in società con mio zio, contadino anche lui. Poi nel 1953, quando io avevo un anno, ci ha portati tutti qui. Abbiamo salutato senza rimpianti il lavoro a mezzadria e ci siamo trasferiti a Coverciano: mio babbo, mia mamma, mia zia e mio zio. Nel 1961 la Fonderia è stata spostata a Peretola, anche perché alle Cure eravamo in mezzo alle case. T’immagini le signore che stendevano i panni?”.

Qui alla fonderia l’alluvione del ’66 ha fatto 30 centimetri d’acqua, ha rovinato la sabbia, il meccanismo che la trasportava e la galleria sotterranea, ma non ha causato troppi danni.
“Lo sai chi era Canapone?” Chiede improvvisamente Omero mentre parla dell’alluvione. Ovviamente non lo so. “Devi sapere – racconta – che qui dietro c’è un po’ di terreno del comune, dove c’hanno fatto il ponte. Quando non c’era il ponte era tutto campo e allora ci hanno seppellito Canapone. Come chi era canapone? Il dromedario dello zoo delle Cascine! Quante storie su ’sto Canapone hanno fatto i fiorentini. Ogni tanto lo ritirano fuori e io vorrei dire loro: venite a piangerlo alla mi’ fonderia!”.

Quando, nel 1972, inizia la costruzione del Ponte all’Indiano (il nome deriva dal monumento funebre a un principe indiano che si trova alle Cascine, proprio sotto il ponte), un imponente viadotto di 3 chilometri voluto dal Comune di Firenze per collegare due zone della città in espansione, l’Isolotto e Peretola, passando sopra l’Arno, la fonderia si salva dall’esproprio per pochi metri e il viadotto diventa lentamente parte del paesaggio. Anzi praticamente il “tetto” del laboratorio artigianale di ghisa.
Oggi, però, di ghisa se ne fa sempre meno. In Toscana sono rimaste 6 fonderie e quella di Galardi è l’unica di tipo artigianale. Dai 12 operai di dieci anni fa la fonderia è passata a 3 part-time. “Fino a 15, 20 anni fa, chi faceva una macchina per tagliare il legno, il marmo o altro la costruiva con componenti di ghisa – racconta Galardi. “Oggi queste macchine sono tutte modificate e allora le fanno di ferro”.

La ghisa non è altro che una lega ferro-carbonio, spiega il fonditore: è il primo materiale che esce dal minerale estratto e cotto negli altiforni a 1300 gradi. Se lo si tiene di più, perde carbonio e diventa ferro, più resistente ma meno malleabile. Se lo si “cuoce” ancora di più diventa acciaio. Tra tutti e 3 la ghisa è quella che costa meno, proprio per la caratteristica dell’elevata malleabilità che permette di produrre oggetti in serie. 
“Certo, una volta che si rompe si rompe. Anche se c’è pure quello che ti dice che lui la ghisa la riattacca – conclude Galardi con il suo sguardo beffardo. “Ma quello è un fenomeno!”

 

Cecilia Ferrara

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