Le telline si pescano la mattina presto. Anzi, le arselle, come si chiamano a Bocca d’Arno. Un rastrello per scandagliare la sabbia legato alla vita e con due manici alti per aggiustare la presa con le mani. Tipo buoi che arano il mare. Dalle 5 di mattina, 3 o 4 ore, una pausa e poi di nuovo in acqua fino a sopra la vita. È dura ma sono 10 euro al chilo, ne puoi fare 50 in un giorno, quando ci sono. Lo sanno bene i pescatori di Bocca d’Arno a Marina di Pisa, dove l’acqua dolce della foce del fiume incontra quella salata del Mar Tirreno, e loro imparano a pescare fin da bambini.

Certo, oggi c’è lo sviluppo turistico, il nuovo Porto inaugurato nel 2013 ha imposto una nuova visione dell’economia di Marina di Pisa, più turisti e meno pescatori. Ma alla foce dell’Arno resiste una tradizione dura a morire. Ci sono ancora ben visibili o su delle palafitte colorate o attaccati alla banchina della riva a sud, i cosiddetti “retoni” per la pesca a bilancia: grosse reti attaccate a una carrucola meccanica che le fa adagiare sul fondo del fiume e poi le ritira su. I quattro retoni sulle palafitte però oggi sono per la pesca ricreativa, oppure vengono affittati per la giornata.

E poi c’è lui, l’ultimo pescatore di Bocca d’Arno. Nicola Ghimenti, detto Nick, che da trent’anni gestisce e lavora in un piccolo ormeggio sulla riva sud del fiume.

Da quando sono iniziati i piani di costruzione del porto è costantemente minacciato di sfratto, poiché la proprietà dell’area è comunale. Ma lui è uno dei pochi che di pesca ci vive e ci ha tirato su tre figli.

La minaccia nei confronti di quello che era un rappresentante della vecchia Bocca d’Arno ha scatenato molte proteste. In difesa di Nick sono state raccolte migliaia di firme e per ora è ancora lì, al penultimo ormeggio prima della scogliera, dove ogni 10 minuti si affaccia qualcuno che lo conosce, per vedere se c’è del pesce da comprare o per scambiare due chiacchiere. Nick ci accoglie mentre il figlio più piccolo ci cucina un guazzetto di arselle appena pescate.

“Sono entrato qui all’ormeggio come traghettatore nel 1985 – racconta – sono subentrato a un vecchio traghettatore che a sua volta era subentrato al suo babbo. Si chiamava Ferrer. Il suo babbo Arbace, tutti nomi anarchici. Quando Ferrer me lo cedette aveva 75 anni e faceva ancora il traghettatore: portava la gente sulle spiagge, o i pescatori sulle scogliere. Le persone che avevano i retoni, sui retoni. Mi lasciò il lavoro e licenza, ma dopo tre anni mi bloccarono il traghetto perché iniziarono a fare le esercitazioni per la guerra del Golfo (sic) al Parco di San Rossore, che era dove portavo la gente al mare.  Insieme ai paracadutisti italiani, vennero anche gli americani e non volevano più che arrivasse gente sulla spiaggia. Con questa scusa hanno negato il parco a tutte le famiglie che facevano il mare con poco. Io li portavo di là con mille lire, andata e ritorno”.

Fermo il traghetto, Nick ha iniziato a pescare. Già faceva pesca subacquea da ragazzino, partecipando pure a qualche gara con buoni risultati. Quando, a 23 anni, si ritrova con un ormeggio ma senza la possibilità di fare il traghettatore, riprende a pescare. Un po’ – ammette – perché non sa che altro fare. Un po’ perché “mi era la cosa che mi garbava più di tutte”.

La licenza è per le acque interne ma, ovviamente, qui si pescano pesci di mare visto che, spiega il pescatore, il mare in Arno arriva fino a Pisa.

“Io faccio il tramagliaio, butto le reti che restano sul fondo tutta la notte, pesco seppie, sogliole, pesce bianco in genere, mormore, ragni”. Anche il nonno era un pescatore di bilancia, con i retoni. E insieme a un socio Nick ha ritirato su un vecchio retone, una palafitta, dove va a pescare o che affitta ai turisti.

L’ultimo pescatore è anche un testimone prezioso della vita del fiume. “Negli anni settanta e ottanta il fiume era nero, c’era il cromo-mercurio ed era uno dei fiumi più inquinati al mondo: le concerie che buttavano dentro di tutto. A San Rossore c’era una pinetina sulla spiaggia del Gombo che arrivava fino a mare. Negli anni settanta è scomparsa, perché il mare era pieno di saponi con i tensioattivi: con le mareggiate il sapone si posava sulle cortecce degli alberi e non li faceva più respirare. E piano piano quegli alberi sono morti tutti”. Poi, sono arrivate leggi che imponevano i depuratori e limitavano l’uso di sostanze inquinanti e oggi il fiume è di nuovo vivo, di pesci ce ne sono tanti anche grazie al particolare ecosistema di acqua marina e acqua dolce.

E Nick può continuare a pescare.

Cecilia Ferrara